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Fides Romanin prima donna portabandiera alle Olimpiadi

Cattura

Anche il Corriere della Sera parla di noi: la “Forneto” Fides Romanin portabandiera alle Olimpiadi di Oslo nel 1952

Fides Romanin, la prima donna portabandiera alle Olimpiadi:   «Con la gomma in bocca a Oslo ‘52»

Romanin, ex fondista friulana, alfiere con la carta d’identità taroccata (non era maggiorenne) ai Giochi norvegesi: «Il presidente del Coni mi sgridò per il chewin gum»

di Gaia Piccardi

 

Il 14 febbraio 1952, giorno dell’inaugurazione della VI edizione dei Giochi olimpici invernali, Fides ha 17 anni e 94 giorni. «La mattina vedo arrivare al villaggio il colonnello Fabris, che faceva parte della nostra delegazione. Mi viene incontro: il presidente del Coni, Giulio Onesti, ti ha scelta come portabandiera dell’Italia».

Proprio lei, la ragazzona di un metro e ottanta che sognava di fare atletica e invece si era ritrovata a cavallo di due pezzi di legno da far scivolare — rigorosamente a tecnica classica — nei binari del fondo. Così, in un gelido giovedì norvegese, mentre a Roma il Senato vara la legge Scelba e in Inghilterra Elisabetta II succede sul trono al padre Giorgio VI, Romanin Fides da Forni Avoltri, ultimo comune dell’alta Val Degano, una manciata di anime (oggi sono 574 abitanti) aggrappate alla dolomia della Carnia più a nord, diventa la nostra Eva. La prima donna alfiere dell’Italia ai Giochi, in assoluto (prima di lei, nel 1932, solo la pattinatrice inglese Mollie Phillips a Lake Placid e la schermitrice messicana Eugenia Escudero a Los Angeles).

Nel ’52 si bissa. Olimpiade invernale a Oslo e estiva, da metà luglio, a Helsinki. In Finlandia sotto il bandierone spunta il faccino vispo di Miranda Cicognani, ginnasta di Forlì, ma è troppo tardi: la Romanin, ormai, l’ha battuta sul tempo. Che effetto fa, cara Fides? «Una grande emozione — risponde affaticata dalla casa di Udine della figlia Maria Maddalena, ex pallavolista, che l’assiste amorevolmente nella malattia e in questa intervista —. Io pioniera dello sport azzurro? Mi fa tanto, tanto piacere».

Questa storia d’altri tempi comincia all’inizio degli anni 50, quando la mancanza di un campo sportivo a Forni — e l’abbondanza di neve — porta Fides sugli sci. No, non l’alpino («Lì c’erano più soldi, le ragazze come Celina Seghi viaggiavano con tutti i sacchetti per tenere bene le scarpe, noi del fondo se ne avevamo un paio era grasso che cola…») e nemmeno il pattinaggio, la disciplina in cui «le milanesi, gente che stava bene e che si portava dietro l’armadio dei vestiti» eccellevano. Fides è robusta, ha la tempra forte della sua terra. 5 e 10 km, più la staffetta, sono il suo mestiere. «Alle selezioni nazionali scelsero in fretta e furia le più resistenti per le gare olimpiche di fondo di Oslo, dove l’Italia non poteva non esserci» conferma in sottofondo Maria. Ma 10 mila metri in alternato lassù, tra le renne e i licheni, sono tanta roba. Il regolamento impone la maggiore età. Ci vuole un attimo a taroccare la data di nascita di Fides: dal 12 novembre ’34 al ’33 è questione di un tratto di penna. Et voilà, il gioco è fatto.

«Ero la più giovane e la più alta della squadra, credo che Onesti mi abbia scelto per questo». Eccola, Fides, con i piedi gelati sul ghiaccio, il vessillo tricolore in pugno e il chewing gum, regalo di un americano (chi altri?), in bocca. Davanti al re di Norvegia abbassa la bandiera in segno di rispetto, si raccomandano. Lei esegue. Ma, alla fine, il presidentissimo Onesti la rimbrotta: «Masticavi la gomma!». Maria ci ride sopra ancora oggi: «In seguito a quel rimprovero, che la colpì molto, da bambini mamma non ci ha mai permesso di mangiare il chewing gum!». La prestazione fu dimenticabile (17a nella 10 km, davanti all’altra azzurra Ildegarda Taffra: «Un’amica vera, la Ilde, niente a che vedere con la rivalità tra Belmondo e Di Centa: ci legava una solidarietà che nasceva dalle umili origini»), l’esperienza memorabile. La pista tra i boschi: «Difficilissima: noi azzurre non eravamo preparate!». L’incontro con Zeno Colò, oro nella libera («Un tipo semplice e scherzoso, sa come sono i toscani del Monte Bondone…»), affascinante ma non quanto l’austriaco Toni Sailer, che Fides avrebbe incrociato all’Olimpiade di Cortina ’56: «Bello, abbronzato, prestante. Aveva sempre intorno un sacco di amiche…».

In quello sport da antenati lontano anni luce dal professionismo, la diaria per le trasferte era di 400 lire in Italia e 1.200 all’estero. «Poi promettevano un posto nei corpi militari, ma per le donne ci volevano secoli: i maschi invece erano già tutti delle Forze Armate» sottolinea Maria. L’aereo era un lusso per pochi. Fides lo ricorda come fosse ieri: «Arrivai a Milano in treno da Udine. Ci portarono a vedere le bestie allo zoo (fino a quel giorno avevo visto solo mucche e cavalli) e i piccioni in Piazza del Duomo. Dalla Malpensa volammo a Copenaghen e poi prendemmo il traghetto per Oslo. Due giorni di viaggio». In tasca aveva la lettera del parroco di Forni che chiedeva al presidente della Federsci, Piero Oneglio, di tutelarla «sotto ogni punto di vista». Pare di vederla, seppiata e ruvida.

I primi sci della prima donna, i calzoni spessi da maschio e i maglioni di lana grezza, qualche pettorale e le coppe sopravvissute al tempo verranno donate al nascituro museo dello sci di Forni Avoltri. Fides, 83 anni tra sei giorni (auguri, di cuore) sorride nella cornetta: «Arianna Fontana non la conosco, ai miei tempi lo short track non esisteva, ma sono contenta che a Pyeongchang 2018 sia lei a rappresentarci: vuol dire che noi donne ne abbiamo fatta di strada».
Senza Fides, saremmo ancora al km zero.

 

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